Algoritmi e collezioni: l’efficienza che uccide la differenza?
Algoritmi e collezioni: l’efficienza che uccide la differenza?
Oggi celebriamo il buyer e il product manager come "curatori algoritmici" del futuro, immersi in dashboard predittive, prototipi generati dall’AI e forecasting millimetrico. Ma fermiamoci un attimo: questa rivoluzione è davvero ciò che serve al retail?
In un mondo dove tutto è prevedibile, i buyer rischiano di diventare semplici esecutori di dati, perdendo quell’intuito che in passato ha permesso di leggere in anticipo il mercato, differenziare l’offerta e costruire assortimenti vincenti per il proprio cliente. I product manager, sedotti dall’efficienza dell’automazione, rischiano di produrre collezioni perfette… ma tutte uguali, con la stessa giacca suggerita a tutti da algoritmi che pescano nelle stesse fonti globali.
Questa nuova era dell’AI porta con sé una provocazione: stiamo sostituendo la responsabilità del rischio creativo con la tranquillità dell’omologazione predittiva? Stiamo abdicando alla comfort zone del “lo dice l’algoritmo” invece di osare davvero?
Il futuro richiede manager capaci di usare l’AI come alleato, non come stampella. Servono figure che sappiano dire “no” all’evidenza algoritmica quando serve, che interpretino le informazioni per scegliere cosa ha senso per il brand, il cliente e la narrazione che vogliono costruire. Senza questa capacità critica, buyer e product manager rischiano di diventare operatori passivi, perdendo la loro centralità.
L’AI può aiutare a ridurre sprechi, prevedere trend e velocizzare le decisioni, ma non può sostituire la visione. Se vogliamo collezioni vive e aziende realmente competitive, dobbiamo avere il coraggio di non fermarci ai dati, ma saperli contraddire quando serve, con quella libertà creativa che è l’unico vero vantaggio competitivo rimasto nel retail.